Sono nata rigida.

Sono sempre stata un ciocco di legno o, come direbbero a Bari, “chiusa come una cozza”!

Avete presente quelle bambine che senza aver mai fatto nulla sono naturalmente elastiche e non perdono occasione per mostrare al mondo quanto siano brave a fare la spaccata? Beh, io ero l’esatto opposto! E quelle bambine le guardavo con invidia e ammirazione, convinta che nella vita avrebbero avuto la strada spianata verso il successo.

Sin da piccola, quindi, ho nutrito questa segreta aspirazione a diventare sciolta e flessibile, percependo il miraggio di felicità che questa condizione mi avrebbe regalato: cosa avrei dato per saper fare la spaccata frontale, me la sognavo anche di notte! E se avessi potuto rinascere, avrei scelto di farlo senz’altro in una famiglia di circensi per diventare una contorsionista, perché di sicuro sarei stata più felice! 

E così a 6 anni ho cominciato a praticare ginnastica artistica e, sebbene me la cavassi con il ponte, le mie spaccate erano un incubo: quante ore di stretching e quante lacrime versate per riuscire a guadagnare qualche centimetro di apertura in più, che il giorno dopo sembrava puntualmente sparire costringendomi a ricominciare tutto daccapo! Alla fine la ginnastica l’ho mollata a 14 anni: e sì che la spaccata sagittale l’avevo imparata nel frattempo, a furia di allenamenti quotidiani, ma la frontale restava un miraggio…

Per un po’ devo essermi  arresa al mio destino di persona rigida, qualità che peraltro si rifletteva anche nel mio carattere, testardo e permaloso, e per 3 anni ho giocato a tennis: ispirata da mio fratello Paolo, talentuoso tennista, ho deciso che avrei emulato le sue gesta fino ad arrivare a Wimbledon.

Neanche a dirlo, a Wimbledon non ci sono mai arrivata, ma nemmeno a vincere il torneo sotto casa! In compenso, con il mio gonnellino da tennis e le mie movenze “coreografiche”, più di una volta mi son sentita dire “sembra che tu stia ballando sul campo”, “ma hai fatto danza?”, tanto che alla fine una prova in una scuola di danza ho deciso di farla veramente… Mai avrei immaginato di vivere quella che è stata una vera e propria epifania! 

Appena ho messo piede a Studio Danza, ho provato un senso di appartenenza che ancora oggi mi fa venire le lacrime agli occhi! Quello era il mio mondo, il posto a cui sentivo di appartenere: la grande sala con il parquet e gli specchi, la musica classica, l’odore della pece e quell’atmosfera frizzante dello spogliatoio che brulicava di piccole ballerine con i body scuri e le calze rosa.

Ero estasiata e, al tempo stesso, mi dicevo: “Questo è ciò che voglio nella mia vita, ma perché non l’ho scoperto prima?! Perché arrivo qui a 17 anni, e per di più dopo 3 anni di tennis, ora che sono più rigida che mai?!”

Beh, se la rigidità fisica era l’ostacolo da superare (oltre a tutte le lacune tecniche da colmare), la testardaggine si è rivelata una mia grande alleata, trasformandosi in tenacia, costanza e determinazione, che mi hanno accompagnato in un intenso lavoro quotidiano, fatto di fatica, sudore, frustrazioni, ma anche di piccoli traguardi, brividi, “elettricità” e gioia immensa, intrapreso anche contro chi mi diceva che ero troppo grande per la danza classica, o che ero un’illusa e non avrei mai potuto realizzare il mio sogno di ballare. 

Ci son voluti anni, ma la trasformazione piano piano è avvenuta: il pezzo di legno si è trasformato in farfalla, e la danza è diventata la mia vita e il mio lavoro, regalandomi emozioni indescrivibili e opportunità impensabili per una ragazza di provincia!

Questo potrebbe sembrare il lieto fine della storia, con una morale molto incoraggiante: “se credi davvero in te stesso e ti impegni con tutte le tue forze, i tuoi sogni diventeranno realtà” oppure “i limiti sono solo nella nostra mente”! E da tanto tempo desideravo condividere questo messaggio per incoraggiare chi, come me, si è scontrato con le proprie debolezze e con la paura di non farcela, rischiando di rinunciare alla propria passione.

Ma la vita non è come le favole, e non esiste il lieto fine; esistono semmai solo lieti inizi: la danza, infatti, non è stata che il mio primo strumento di trasformazione, che mi ha poi condotto allo yoga, grazie al quale ho imparato che

La vera flessibilità è quella interiore e consiste nell’essere morbidi con se stessi e con gli altri, nell’accettare i propri limiti, nel non attaccarsi alle persone e alle situazioni, ma nemmeno alle cose o alle opinioni, nel non esprimere giudizi nei propri confronti e verso gli altri, nell’accogliere i cambiamenti come qualcosa di naturale e nell’essere aperti a tutto ciò che la vita ci porta.

Ho ancora tanto da imparare, il cammino interiore non finisce mai; ma oggi conosco una dolcezza che mi mancava e con essa guardo intenerita a quella bambina piena di blocchi e sogni, che senza saperlo mi ha guidato verso la libertà. E con altrettanto amore cerco di guidare i miei allievi a sentire che corpo e mente si riflettono l’uno nell’altra e non c’è cambiamento che possa nascere senza consapevolezza di questa unione.

Francesca

P.s. La mia trasformazione non sarebbe stata possibile senza la generosità e professionalità dei Maestri che ho avuto la fortuna di incontrare durante la mia formazione, a cui sarò eternamente grata e che cito qui, in ordine cronologico rispetto al mio percorso: Claudia Incalza, Savina Pinto, Mimmo Iannone, le sorelle Lombardo, Pino Carbone ed Elisabetta Hertel.

Ma ringrazio anche tutti gli insegnanti con cui ho studiato a Roma e i coreografi con cui ho lavorato: Gino Landi, Franco Miseria, Marco Garofalo, Daniel Ezralow, Garrison Rochelle, Claudia Rossi, Fabrizio Mainini, Enzo Paolo Turchi, Stefano Vagnoli, Claudio Ferraro,, Cristina Arrò, Gianni Santucci, Francesca Sani, Simona Mastrecchia e Alberta Allegrezza.